Il link per rivederlo è https://www.youtube.com/live/XGScf9dnego?si=u3IUmfNCkXpbpuoM

L’evento si è svolto presso la Fondazione Marco Besso ed ha offerto un contributo alla promozione dell’Architettura Contemporanea, finalizzata alla comprensione collettiva del suo valore, tutela, valorizzazione e comunicazione, con l’auspicio di un maggiore coinvolgimento del pubblico al riguardo. Gli interventi dei relatori, grazie alla loro rilevante competenza e chiarezza, sono stati efficaci e di diffuso gradimento .

SINTESI ESSENZIALI DEI CONTENUTI DEGLI INTERVENTI

Il convegno, coordinato dalla Presidente di A.B.A.C.O., Arch. Virginia Rossini,  si è aperto con i due interventi istituzionali: l’Arch. Francesco Scoppola, della Fondazione Marco Besso, ha introdotto l’argomento dell’Architettura Contemporanea, mentre la Dott.ssa Maria Vittoria Marini Clarelli ha inquadrato il tema sotto il profilo istituzionale.

In particolare, ha descritto l’organizzazione del Servizio III, “Architettura contemporanea, periferie e rigenerazione urbana” della Direzione Generale relativa del MIC, di cui è direttrice. Conseguentemente ha illustrato i progetti in corso e futuri promossi dal Servizio suddetto.

L’Arch. Virginia Rossini ha introdotto poi il convegno, spiegandone il significato e l’obiettivo, la visione generale della materia trattata e l’articolazione degli interventi successivi.

Prof.ssa Arch. Maria ArgentiOrdinario Dipartimento DICEA, Sapienza Università di Roma

La Prof.ssa Arch. Maria Argenti ha introdotto il concetto di Valore dell’Architettura Contemporanea ed ha illustrato l’attuale formazione relativa negli atenei, incentrata sul dialogo con il Patrimonio storico, portando significativi esempi di interventi sul territorio, a varie scale.

Prof. Arch. Claudio VaragnoliOrdinario Dipartimento DICEA, Sapienza Università di Roma – Comitato tecnico-scientifico Arte e Architetture contemporanee MIC 

La sessione del convegno dedicata alla Tutela, si è aperta con l’intervento del Prof. Arch. Claudio Varagnoli, che, illustrata la normativa preposta al controllo del Patrimonio, ha evidenziato le possibilità ed i limiti nella Tutela dell’Architettura Contemporanea, grazie a rilevanti esempi.

Arch. Rosalia VittoriniDO.CO.MO.MO Italia – Già Associato Università di Tor Vergata

A seguire, l’Arch. Rosalia Vittorini, storica rappresentante del DO.CO.MO.MO., associazione che si è sempre distinta nella promozione e nella tutela dell’Architettura Contemporanea, ha espresso efficaci riflessioni sulle strategie ed azioni per tutelare al meglio l’Architettura del Novecento.

Arch. Nigel RyanCollaboratore Studio Meyer per progetti e realizzazioni opere a Roma

L’Arch. Nigel Ryan ha posto l’attenzione sul significato anche filosofico di molte scelte progettuali, evidenziando poi come la conservazione degli interventi debba affrontare la complessa difficoltà di non svuotare il senso progettuale originario, semmai riproporlo.

La sessione della Valorizzazione dell’Architettura Contemporanea ha visto due interventi a scale diverse, uno riguardante un brano di città, l’altro su esempi puntuali di dialogo tra tradizione e innovazione.

Arch. Margherita Guccione Direttrice Scientifica del Grande Maxxi

L’Arch. Margherita Guccione ha illustrato il progetto del Grande Maxxi, ampliamento del Museo del Maxxi, con depositi, laboratori, archivi, ma anche occasione per arricchire l’area con un nuovo parco urbano. Il progetto ha inoltre introdotto un rinnovato rapporto vuoto-costruito per la città del futuro.

Arch. Sara CiarimboliStudio Alvisi Kirimoto

L’Arch. Sara Ciarimboli ha posto l’accento sul tema importante del dialogo tra Valorizzazione e Trasformazione, grande sfida per i progettisti. Ha illustrato vari esempi di interventi a Roma, riguardanti architetture moderne, come il Palazzo dei Congressi, e quelle antiche, quali la Basilica di Massenzio.

La sessione finale ha evidenziato l’importanza della Comunicazione, al fine di sensibilizzare e coinvolgere maggiormente il pubblico, per un riconoscimento condiviso del valore dell’Architettura Contemporanea, come potenziale elemento di riqualificazione di parti di città, finalizzato al benessere sociale.

Prof.ssa Arch. Elena IppolitiDirettrice Master I Liv. Comunicazione dei BB CC Sapienza Università di Roma

L’intervento della Prof.ssa Arch. Elena Ippoliti, al riguardo, ha evidenziato le varie forme della comunicazione per l’Architettura Contemporanea, oltre ad illustrare come mettere in comune i tipi di linguaggi e stimolare il coinvolgimento attivo del pubblico, portando interessanti esempi concreti.

Pubblichiamo il testo che ha scritto l’Arch. Nigel Ryan, per approfondire il significato del suo intervento.

Arch. Nigel RyanCollaboratore Studio Meyer per progetti e realizzazioni opere a Roma

SUSTAINING LIGHTNESSSOSTENERE LA LEGGEREZZA

Per parlare di leggerezza in architettura, occorre innanzitutto riconoscere la ricchezza del termine — in particolare in inglese, dove comprende sia leggerezza (assenza di peso) sia luminosità (presenza di luce). Questo doppio significato consente di riflettere sia sulle prestazioni strutturali che sulla percezione atmosferica. La ricerca della leggerezza, nei suoi aspetti materiali e fenomenici, è diventata centrale nell’architettura moderna, modellata dall’innovazione tecnologica, dai nuovi materiali e da estetiche in evoluzione.

Fondamentale è il fatto che la leggerezza architettonica — soprattutto la leggerezza, raggiunta attraverso involucri trasparenti e piante aperte — è diventata sempre più dipendente dai sistemi ambientali. Riscaldamento, ventilazione, condizionamento (HVAC) e illuminazione sono passati da elementi accessori a componenti essenziali: non solo per il comfort, ma per l’abitabilità stessa degli edifici moderni. Esempi come la Farnsworth House di Mies van der Rohe rivelano questo paradosso: la trasparenza visiva richiede sistemi meccanici robusti per creare uno spazio abitabile.

Per comprendere e conservare l’architettura contemporanea, occorre affrontare questi sistemi spesso invisibili come parte integrante dell’insieme architettonico.

L’assenza di peso — la mancanza o la simulazione della gravità — si manifesta in aggetti, volumi sospesi e innovazioni nei materiali. Ma questa è solo una delle forme della leggerezza.

La luminosità, al contrario, è radianza visibile — tecnica, spettrale, percettiva. Una superficie luminosa emette o riflette luce. Si tratta della presenza della luce, non necessariamente del suo significato.

Per approfondire questo concetto, mi rivolgo a due autori italiani: Italo Calvino e Gianni Vattimo.

Calvino, nelle Lezioni americane, propone la leggerezza come sottrazione di peso — non solo fisica, ma poetica. Essa resiste alla pesantezza del mondo con chiarezza e grazia; sostiene la complessità senza esserne schiacciata; attraversa lo spazio e il significato con economia.

Questa idea trova un chiaro parallelo in architettura. La distinzione tra trasparenza letterale e trasparenza fenomenica, come esplorata da Colin Rowe e Robert Slutzky, chiarisce due modalità di leggerezza. La trasparenza letterale si allinea con la leggerezza — la riduzione visiva e materiale del peso. La trasparenza fenomenica si avvicina alla luminosità — produce profondità spaziale non attraverso l’apertura, ma con stratificazione, riflessione e ritardo interpretativo. La luce diventa non solo uno strumento visivo, ma un mezzo di pensiero.

L’idea di Calvino trova espressione architettonica nell’opera di Pier Luigi Nervi. Le sue strutture non eliminano il peso, ma lo coreografano con tale efficienza da trasformarlo in movimento. Il suo cemento armato è raffinato — non malgrado la massa, ma attraverso essa.

Tuttavia, questa leggerezza ottenuta mediante l’efficienza ha un costo. Durante valutazioni preliminari al restauro di due edifici di Nervi, ho osservato come l’ambizione progettuale abbia lasciato poco margine per la ridondanza. Alcuni elementi in calcestruzzo leggero mostravano segni di degrado e corrosione. Il suo impianto di confezionamento del sale a Tortona — un tempo il più grande d’Europa — oggi è chiuso. La struttura poetica serviva un programma ordinario, ma la sua fragilità dipende tanto dal vuoto quanto dal degrado materiale. Senza una funzione, anche le forme più audaci rischiano di svanire.

Nell’opera di Nervi, la leggerezza è al tempo stesso reale e retorica — espressiva di forza e grazia, ma vulnerabile al tempo e all’uso.

Se Nervi perseguiva la leggerezza attraverso la struttura, Franco Albini offre un’altra via: la coreografia percettiva. Per Albini e molti suoi coetanei, la leggerezza era anche un’aspirazione culturale verso la modernità, l’efficienza, e un distacco simbolico dal peso della storia.

I suoi interni e allestimenti traggono ispirazione dalla logica del volo — non letteralmente, ma metaforicamente. Cavi, reti, telai emergono come metafore strutturali. Lo spazio sembra sospeso. Le superfici fluttuano. Il movimento è orchestrato. Il volo diventa un’idea compositiva.

La leggerezza di Albini richiama la “leggerezza del tocco” di Vattimo: meno affermazione, più interpretazione. I suoi spazi si rivelano in strati — di vetro, ombra, metallo e tessuto — creando trasparenza fenomenica. La leggerezza non è assenza di peso, ma apertura al significato.

Ed è qui che entra in gioco Vattimo. Se Calvino ci offre la leggerezza come movimento e sottrazione, Vattimo propone la leggerezza come interpretazione. Ne La fine della modernità, suggerisce che l’indebolimento delle certezze metafisiche apre la via a significati che emergono da superfici, tracce, sovrapposizioni. L’ornamento, un tempo respinto dal modernismo, ritorna — non come decorazione, ma come significato.

Pensiamo a un paralume: non emette luce, ma le dà forma — la filtra e la ammorbidisce. Parlare della luce come ornamento può sembrare provocatorio dopo Loos, ma se l’ornamento interpreta, allora la luce è la sua forma più persuasiva. Non dichiara, ma mette in scena, guidando la percezione attraverso il ritmo.

Questo slittamento concettuale coincide con uno slittamento tecnologico: la luce elettrica. Come l’acciaio e il cemento armato, la luce artificiale è diventata un mezzo per raggiungere e modulare la leggerezza. Liberati dai vincoli della luce naturale, gli architetti hanno potuto modellare la percezione con nuova precisione. La luce agisce non solo otticamente, ma interpretativamente — per riflessione, gradazione e ritardo.

Arriviamo così a Richard Meier, la cui architettura sintetizza leggerezza e luminosità. Mentre Nervi enfatizzava la struttura e Albini la percezione, Meier mette al centro la luce stessa. Il suo lavoro richiama la chiarezza di Calvino e l’apertura di Vattimo — in particolare nel Museo dell’Ara Pacis.

L’architettura di Meier, definita da Tafuri un “sistema di sistemi”, è insieme disciplinata nella forma e stratificata nella composizione. I sistemi ambientali — HVAC, illuminazione — fanno parte di una logica più ampia: massa e vuoto, superficie e ombra.

La luce, per Meier, è sia materiale che messaggio. È naturale, ma orchestrata — filtrata da frangisole, riflessa sul travertino, modulata nel tempo e nella stagione. Da qui la domanda: se la luce naturale è così attentamente modulata, come introdurre la luce artificiale?

Non come replica, ma come complemento.

Per l’Ara Pacis, Meier coinvolse Klaus Mach, lighting designer e collaboratore. In una visita invernale del 2004, Mach osservò che Roma è una città oscura, la cui bellezza si definisce attraverso l’ombra. Propose di illuminare l’altare come se fosse alla luce lunare, usando alogeni filtrati in blu. L’architettura, invece, veniva illuminata con filtri color carne, richiamando l’oro di Roma al tramonto.

Non si trattava di imitazione, ma di interpretazione — un dialogo con il sistema architettonico di Meier.

Ma l’illuminazione è fragile. A differenza della struttura o dell’HVAC, è effimera — legata a tecnologie di breve durata, sensibile ai cambiamenti cromatici. Una variazione può modificare l’esperienza.

Il tema è diventato urgente con l’avvento della tecnologia LED e il bando delle lampade alogene. La continuità spettrale, la morbidezza e la possibilità di filtrare degli alogeni consentivano atmosfere sofisticate. I LED, pur efficienti, spesso mancano di tale modulazione — anche se con la stessa temperatura di colore.

Una tabella chiarisce ciò che si è perso e guadagnato:

ProprietàLuce alogenaLuce LED
Sorgente luminosaFilamento riscaldatoDiodo a emissione luminosa
SpettroContinuoSegmentato, modulato
Resa cromaticaAlta (95+)Variabile (80–95+)
Temperatura coloreFissa, filtrabile (~3000K)Integrata, programmabile
OmbreMorbidePiù nette
Durata2.000–5.000 ore15.000–50.000+ ore
FiltriNecessariNon necessari

Nonostante il cambiamento, la logica duale di Mach è stata preservata: LED da 4000K per l’altare, 3000K per l’architettura. I filtri non erano più necessari. Il sistema è rimasto — ma trasformato. La luce ora appartiene a una diversa cultura materiale.

Chi percepisce questi cambiamenti? Probabilmente Meier e Mach — e coloro che hanno un “orecchio assoluto” per la percezione. La maggior parte dei visitatori no. Ma la domanda resta: quanto cambiamento è troppo?

La nuova illuminazione ha ridotto i consumi dell’85%, ammortizzando i costi in tre anni. (Il nuovo impianto…) Come altri adeguamenti: rinforzi antisismici, rimozione dell’amianto, accessibilità. L’architettura evolve sotto la spinta di normative e innovazioni tecniche.

Rilampadare l’Ara Pacis è stato modificarla — in modo sottile ma irreversibile. Ma non farlo l’avrebbe lasciata al buio. Non si tratta solo di un aggiornamento tecnico, ma di uno spostamento concettuale. I sistemi ambientali non sono periferici: sono architettura.

Questo ci porta alla sfida centrale del sostenere la leggerezza. Quando si conserva un edificio, cosa si preserva? La forma? I sistemi? L’effetto? L’intenzione?

La risposta è: tutto — come insieme integrato. E mentre molti di questi sistemi — in particolare l’illuminazione e l’HVAC — sono progettati con durate inferiori alla struttura, essi svolgono un ruolo centrale nel definire l’esperienza e l’identità dell’architettura contemporanea. La loro temporaneità può offrire una chiave per la conservazione a lungo termine: una strategia di rinnovamento programmato, in cui adattamento e apertura all’innovazione convivono con la tutela. Sostenere la leggerezza, in questo senso, significa non solo proteggere ciò che è stato costruito, ma progettare per la trasformazione — creare sistemi capaci di evolversi senza cancellare il significato.

Come mostra l’impianto di Nervi, gli edifici possono fallire per abbandono o vuoto. La conservazione deve andare oltre le superfici. Deve includere i sistemi ambientali come elementi caratterizzanti, e soprattutto integrati in un sistema socio-economico sostenibile.

I sistemi di illuminazione dovrebbero essere conservati come le volte o le colonne? Quando scompaiono, cosa dobbiamo conservare: la funzione, l’effetto, o l’intenzione?

Non sono domande tecniche. Sono filosofiche, persino etiche. Sostenere la leggerezza significa sostenere un modo di pensare — che vede l’architettura come dinamica, interpretativa e viva. Che richiede strategie di conservazione attente alla forma, all’atmosfera e al sistema.

Nel 2016, alla luce delle normative europee che prevedevano la progressiva eliminazione delle sorgenti luminose a basso rendimento — come le lampade a incandescenza e alogene — il museo è stato riconvertito a un nuovo sistema di illuminazione a LED. L’intervento è stato realizzato in collaborazione con ERCO, la casa produttrice fondata dallo stesso Mach, e guidato da Meier in persona per garantire che la visione originale fosse rispettata, pur adattandosi al cambiamento tecnologico.

Tutti i sistemi di illuminazione sono, per loro natura, effimeri. Le sorgenti luminose devono essere sostituite molto prima che le pareti debbano essere restaurate. E se sappiamo che una variazione dell’illuminazione può modificare sottilmente l’esperienza di uno spazio — e dunque, in ultima analisi, l’architettura — cosa accade quando non solo cambiamo le lampade, ma anche la loro tipologia?

Le lampade alogene, basate sul principio del filamento riscaldato, offrono uno spettro continuo, una luce piena e una resa cromatica calda e avvolgente. Proprio per questo, Mach poteva filtrare e modulare la luce con precisione, creando una scena ricca di risonanze visive e tattili. Le lampade LED, al contrario, emettono luce attraverso un sistema digitale e segmentato. Anche se calibrate in temperatura colore, spesso non riescono a restituire la stessa morbidezza, profondità e gradualità. La luce diventa più netta, più controllata, ma meno interpretabile.

Il progetto del 2016 ha cercato di preservare la logica progettuale di Mach: 4000K per l’altare — una luce più neutra e chiara, simile a quella lunare — e 3000K per l’architettura, più calda e accogliente, simile alla luce del tramonto. I filtri non erano più necessari, ma l’intento era lo stesso. La luce, tuttavia, appartiene ora a un’altra cultura materiale. Il mezzo si è trasformato. L’esperienza è stata tradotta, non replicata.

Una perdita? Un’evoluzione? Un equilibrio tra efficienza e atmosfera? La risposta sta nel riconoscere che questi sistemi ambientali non sono periferici: sono architettonici. Sostenerli significa non solo proteggerli, ma guidarne la trasformazione.

Sostenere la leggerezza, dunque, significa sostenere un modo di pensare: un’architettura dinamica, interpretativa, viva. Un’architettura che non si conserva congelandola, ma accompagnandone l’evoluzione, affinando il rapporto tra forma, atmosfera e sistema.

Tutti gli elementi — la struttura, i materiali, la luce, i dispositivi ambientali — concorrono a definire l’esperienza architettonica. E mentre alcuni di questi, come la struttura, hanno una durata secolare, altri, come la luce artificiale, sono destinati a mutare. La loro temporalità può rivelarsi una risorsa: non come fragilità, ma come occasione per rinnovare, tradurre, rilanciare il significato del progetto.

La risposta alla domanda “Cosa si sostiene di un’opera d’architettura?” non è univoca. La forma? I sistemi? La realtà materiale? L’esperienza? Tutto questo insieme — come un intreccio. Ma non possiamo conservare tutto in modo identico: dobbiamo imparare a guidare il cambiamento senza svuotare il senso. Sostenere la leggerezza, in questo senso, non è solo una questione tecnica: è un’etica progettuale.

Il modo migliore per sostenere la leggerezza è, in fondo, un tocco leggero.

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